@ ph. Mirka Pernis

Sant’Antonio abate e il suo maialino

Simbolo anche di abbondanza e prosperità il maiale compare fin dall’antichità in arazzi, dipinti e affreschi.
Dal Medioevo la sua immagine ricorre nell’iconografia cristiana con particolare riferimento a Sant’Antonio abate. Sembra proprio essere un bel maialino di cinta – pregiata razza suina toscana – quello che compare sempre ai piedi dell’eremita egiziano, è uno degli attributi simbolici che lo rendevano immediatamente riconoscibile ai fedeli dei secoli passati.

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Ha il corpo completamente nero ad esclusione di una fascia candida che cinge la sua sagoma tonda appena oltre le scapole. Caratteristiche da manuale, dunque, della specie suina tipica dell’area senese che è fra le più apprezzate ed antiche, già allevata dagli Etruschi e dai Romani. Ne troviamo un esempio anche a Brescia. Siamo nella chiesa di San Giorgio nel cuore del centro storico di Brescia (vicolo San Giorgio).

Chiesa di S. Giorgio @ ph. Mirka Pernis

Qui, su uno dei pilastri che separano la navata centrale da quella laterale sinistra, un anonimo maestro ha dipinto il nostro maialino accanto a Sant’Antonio nel gennaio del 1513 su commissione di tal “maestro Giovanni” come indica l’iscrizione che corre lungo il bordo inferiore dell’affresco.

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Fondatore del monachesimo occidentale, Antonio trascorre la sua lunga vita nel deserto. Qui il diavolo cercò di indurlo in tentazione senza successo alcuno e ben presto, nelle sue raffigurazioni, il male e la tentazione sconfitti assumono le sembianze simboliche di un maiale addomesticato ai suoi piedi.
Questo legame acquisisce una connotazione decisamente positiva quando, nel Medioevo, i monaci antoniani fondano un ordine ospedaliero specializzato nella cura dell’herpes zoster (detto per questo anche fuoco di Sant’Antonio) che trattano con un unguento a base di grasso di maiale.
Per questo scopo i monaci allevavano i suini che, fra l’altro, avevano il privilegio di girare indisturbati nei paesi e nelle campagne dove sorgevano i monasteri. Pascolavano liberamente e venivano nutriti dalla comunità perché si sapeva che, in caso di necessità sarebbero stati d’aiuto. Dove era conosciuto e diffuso, probabilmente, privilegiavano il maiale di cinta per la qualità del suo lardo.
Fu inevitabile che il santo assumesse anche il ruolo di protettore di tutti gli animali della quotidianità contadina. Un tempo nelle stalle era appesa la sua immagine e il 16 gennaio, vigilia della sua festa, i fattori pulivano bene gli stalli e davano alle bestie doppia razione di foraggio perché, secondo la tradizione, Antonio sarebbe passato nottetempo per accertarsi del buon accadimento dei suoi protetti. Oggi, nei paesi e nelle città, questa tradizione contadina si è trasformata nella cerimonia di benedizione degli animali domestici organizzata ancora da alcune parrocchie il 17 gennaio, giorno della festa del Santo.

LO SAPEVATE CHE
– Quando facevano la questua e predicavano, i monaci antoniani si annunciavano con il suono di un campanello che portavano con loro. Di conseguenza questo oggetto compare spesso come attributo nelle raffigurazioni del Santo. Anche i maiali di proprietà degli antoniani ne portavano uno al collo, che ne indicava l’appartenenza e garantiva loro la libertà di girare indisturbati nei centri abitati. Essendo una proprietà religiosa nessuno osava scacciarli o rubarli.
– La chiesa di San Giorgio è fra le chiese romaniche di Brescia meglio conservate, ma meno conosciute (vicolo San Giorgio). Il rifacimento barocco della facciata e della decorazione pittorica interna non ha alterato i volumi della navata e la fisionomia architettonica delle absidi e del campanile databili alla prima metà del XII secolo.

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Oltre che per l’architettura e i dipinti medievali, rinascimentali e barocchi che la ornano, la chiesa è di grande interesse anche per alcune curiosità storiche. Oltre ad essere una fra le più antiche della città, probabilmente di fondazione longobarda, è stata costruita a cavaliere di due condotti dell’acquedotto romano ed era luogo di sepolture per i condannati a morte. Da essa proviene la grande tavola che raffigura San Giorgio che uccide il drago e la principessa, oggi esposta nella Pinacoteca Tosio Martinengo. E’ molto probabile che, anticamente, fosse inserita in una ricca e ornata struttura lignea e fosse esposta sull’altare maggiore della chiesa.

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