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Donne e birra: autentica passione

Quindi rimettilo nel calderone e fai bollire un’ora o un’ora e mezza.
Quindi mettilo in una vasca di legno per raffreddarlo,
il che richiederà quasi quaranta ore per una testa di maiale.

(Scotch Ale dalla mia Lady Holmbey)

Mother Louse, una brewsters. XVII secolo foto: di pubblico dominio

TREMATE TREMATE … LE DONNE CHE AMANO LA BIRRA SONO SEMPRE PIÙ DETERMINATE
Prima di arrivare ad imbracciare lo swiffer con gli airpods per collegarsi all’ennesima call di lavoro, o prima che ci si lanciasse all’inseguimento di qualche frugoletto che saltella tra il divano e lo schermo del computer per collegararlo ad una nuova lezione in DAD, pare che le donne fossero impegnate in altro genere di “faccende domestiche”.
Riavvolgiamo quindi il nastro della storia ed andiamo indietro di qualche secolo.
Tra il XV e il XVI secolo in particolare, quando la principale occupazione delle donne era la produzione birraria.
Le “brewsters  più intraprendenti – così venivano chiamate al tempo le donne birraie – riescono a portare questa abilità domestica sul mercato ed iniziano a vendere birra nascoste sotto grandi cappelli a punta, usati per farsi meglio notare negli affollati mercati.
Trasportano la birra dentro grandi pentoloni e per comunicare la disponibilità del prodotto, espongono una scopa (simbolo di prodotto artigianale/domestico) fuori dalla propria casa, o taverna. Solitamente affiancate da amici a quattro zampe che scacciano i topi golosi di cereali.
Un altro simbolo molto spesso esposto fuori dalla porta c’è il talismano che ricorda la stella a sei punte di David per trasmettere il senso di purezza della propria birra.
Siamo nel Medio Evo e la peste è una preoccupazione costante: le brewsters ritengono importante comunicare che la propria birra viene prodotta soltanto rispettando i sei elementi principali: luppolo, cereali, malto, lievito, acqua e certamente il birraio (anzi, la birraia !)
Un processo, quello della birrificazione, che richiede tempo e dedizione: ore per preparare il mosto, pulire i pavimenti e sollevare pesanti fasci di segale e grano.
“Ah! Se solo le donne rininciassero a questa attività così dispendiosa…Potrebbero dedicare più tempo a lustrare i vetri, mentre asciugano il moccolo ai piccoli di casa, ascoltando i preziosi consigli per la cena di “Cotto e mangiato”… deve aver pensato qualche “buon samaritano” che nella cittadina di Chester (Inghilterra) nella prima metà del Cinquecento, decide di rendere illegale per la maggior parte delle donne, la produzione e vendita di birra, preoccupato che le giovani “alewives” potessero invecchiare restando zitelle!
Nel corso del tempo diventa sempre più pericoloso per le donne produrre e vendere birra, perché spesso vengono identificate come streghe.

Immagine di una fabbrica di birra nei Decreti Smithfield, 1300 d.C. circa.   Foto: di pubblico dominio

A quel tempo, essere accusati di stregoneria non era soltanto causa di diffamazione sociale ma poteva comportare un’azione penale o una condanna a morte. Le donne accusate di stregoneria venivano spesso ostracizzate nelle loro comunità, imprigionate o addirittura uccise.
È questo il triste epilogo che ha spinto le donne ad abbandonare il mercato birrario, per lasciare spazio a trepidanti frotte testosteroniche che hanno calcato le scene birrarie per diversi secoli.
Da qualche tempo a questa parte le cose sono decisamente cambiate e nell’universo birrario sono tornate a brillare le quote rosa.
Ho la fortuna, in quanto donna divulgatrice di cultura birraria, di conoscere diverse professioniste ed appassionate che rendono il mondo della birra un posto migliore. Ho avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con alcune di loro. Ecco le loro testimonianze!

VOLTI DIVERSI, UNA SOLA PASSIONE… LA BIRRA

Cristina Alberto

CRISTINA ALBERTO. Dalla Calabria al Regno Unito alla scoperta del mondo brassicolo.
Nata a Soveria Simeri (Catanzaro), si trasferisce a Londra in piena emergenza COVID 19. Attualmente è impiegata nel settore marketing, ed è stata social media manager di un birrificio italiano. Ha avviato “Birre dal Bunker” con Domenico Giannino, (partner nella vita ed in affari), un’azienda esportatrice di birre inglesi. Promotrice della cultura birraria attraverso i propri canali social (@krys.tinka)
Quando si parla della differenza del ruolo femminile in ambito birrario, nel nostro Paese e nel Regno Unito, Cristina ha le idee ben chiare!
«La birra fa parte della cultura inglese e questo si riscontra anche nel mondo femminile dove la conoscenza, il consumo e la preferenza di birra artigianale (piuttosto che di birra industriale o altro prodotti) sono molto più ampi rispetto all’Italia».
Sebbene non perda occasione per ricordare la sua bella Calabria, dove cerca di tornare appena possibile, Cristina pare aver rapidamente trovato “conforto” in terra anglosassone, dove è stata rapita dalla cultura birraria inglese, anche se, qualcosa le manca del nostro Paese…
«Premesso che ci sono, a mio avviso, più cose che l’Italia dovrebbe imparare dal Regno Unito, dal punto di vista birrario, e non il contrario – precisa Cristina – a ben pensarci però, qualcosa che mi manca c’è: l’approccio che un birrificio italiano ha verso il cliente. Io sono molto curiosa e mi piace conoscere le storie che si intrecciano dietro ad una birra. Mentre in un birrificio o in una taproom italiana si fanno con piacere due chiacchiere sul prodotto, nel Regno Unito questo è più difficile. Comprendo comunque che qui la birra faccia parte della loro cultura, quindi c’è poco da comunicare e tanto da bere!
In Italia, cultori del “bere e mangiare bene” quali siamo, abbiamo più la tendenza, secondo me, a soffermarci sulla degustazione, dedicando maggior tempo ad apprezzare il prodotto. Qui spesso l’idea è che l’unico intento sia quello di bere basta».  Ma sempre per un fattore culturale, aggiunge Cristina, il popolo italiano è più propenso ad un approccio più friendly…ops amichevole!

partendo da destra Valentina Pe’ con Gemma del Birrificio La Dama

VALENTINA PE’. Ambasciatrice porta…Birra!
Bresciana, gardesana di San Felice del Benaco. Valentina è ingegnere per l’ambiente ed il territorio, appassionata di birra da decenni. Per approfondire la sua passione ha seguito diversi corsi e seminari, quali percorsi promossi da Unionbirrai e dalla Scuola Italiana di Sommelier.
Scrive per il giornale della birra e tratta temi “birrosi” sul suo profilo Instagram @beergirlfrombrixia.
Iscritta da anni all’associazione Le Donne della Birra di cui è recente diventata ambasciatrice,
rappresentante dell’associazione per la regione Lombardia.
«Sono lieta di ricoprire questo ruolo, all’interno di un’associazione nata con l’idea di diffondere la cultura birraria tra le donne. Ad oggi purtroppo la sezione femminile che mostra apertamente interesse verso il mondo della birra è esigua rispetto a quella maschile. – spiega Valentina – La nostra associazione cerca di unire le donne legate al mondo della birra: professioniste (birraie, publican, giornaliste, lavoratrici nel settore birra) ed appassionate.
Le socie attraverso incontri, attività, partecipazioni a fiere e organizzazione di eventi perseguono gli obiettivi del gruppo: valorizzare il ruolo della donna in ambito birrario e la promozione di una cultura della birra di qualità».
Oltre a Valentina che opera nel terrirorio orientale della regione Lombardia a ovest invece ambasciatrice è Sharon Gatti di Pinte e Pignatte insieme grosso modo si dividono la gestione degli eventi.
«Personalmente sto cercando di fare conoscere il più possibile l’associazione nel mio territorio di competenza – spiega Valentina -creando il maggior numero di situazioni di incontro con le potenziali sostenitrici. Ho iniziato la mia attività di ambasciatrice organizzando degustazioni aperte a tutti in vari locali e ristoranti, cercando di promuovere la birra di qualità. In queste settimane ho deciso di lanciare uno format  “Donne della birra in tour” che lascia maggior spazio al confronto. L’evento è centrato sullo scambio diretto di informazioni con il consumatore. La serata non è quindi condotta dalla rappresentante dell’associazione, ma dagli appassionati di birra che hanno tutto il tempo a disposizione per approfondimenti e curiosità.
Svolgendosi in locali dediti al servizio di birra artigianale, volutamente distanti per coprire ad ampio raggio il mio territorio, chi frequenta questi incontri ha già una maggiore consapevolezza sul tema ed più incline a partecipare e ad avvicinarsi e conocere meglio la nostra realtà. Nel futuro vorrei riuscire a portare avanti entrambe le tipologie di incontro».

Durante la nostra chiacchierata, ci interroghiamo su cosa significa essere una “Donna della Birra” nel 2022: emergono diverse lacune che ancora chiedono tempo per essere colmate.
«Essere una donna della birra in Italia è un po’ come essere un ingegnere donna in Italia: io sono entrambe le cose e posso dire con certezza che non è una passeggiata! –  ci confessa Valentina con una punta di amarezza  – Spesso sembra di dover ostentare le proprie capacità o a volte si ha la sensazione di non essere ascoltate, come se nella testa dei nostri interlocutori scorra la frase “Cosa potrà mai saperne una donna di birra (o di tecnica)?! Ci sono ancora troppi pregiudizi, ma la strada da percorrere sembra diventata meno ripida. Non tutti i nostri interlocutori sono scettici, ce ne sono altrettanti entusiasti, per fotruna, e credo sia un ottimo punto di partenza per aprire la strada alle donne anche in questo ambito, convinta che la competenza verrà ripagata. E poi…cosa ci può essere di meglio dell’essere una Donna della birra?”.

Eleni Pisano

ELENI PISANO. Un mix culturale per dar più gusto in cucina e nel bicchiere!
Nata a Padova da madre orgogliosamente padovana e padre di madre greca nato Istanbul. A 20 anni lascia il Veneto per andare in Campania e studiare all’università a Napoli, Scienze internazionali diplomatiche presso l’Istituto Orientale.
Da sempre affascinata dal crocevia di culture e tradizioni che ha caratterizzato la sua quotidianità familiare, si trasferisce in Lombardia, a Milano prima e Monza poi, ma è in costante movimento, alla ricerca di nuove ispirazioni e progetti.
«Nel mondo della birra ho fatto diverse cose, ma il cibo è stato sempre il punto di vista da cui sono partita insieme all’ospitalità. Dal 2008, quando ho cominciato ad avvicinarmi professionalmente al mondo della birra, sono diventata una beerchef, gustatrice e organizzatrice di eventi brassicoli che valorizzano un certo modo di fare turismo, abbinare il buon cibo alla buona birra ed educare al concetto: Siamo quello che mangiamo!».
Il confronto con Eleni è molto interessante e costruttivo perché ha idee e pensieri “outside the box “. Arriviamo anche a parlare di pizza e birra.
Un binomio/garanzia per molti. Non per la sottoscritta. «Condivido in pieno – dice Eleni – si deve riconoscere il forte rapporto, creato con le consuetudini di comportamento, che abbinano alla pizza la birra questo non tanto per una questione di gusti e abbinamenti ma perché all’inizio apparivano come due alimenti facili, leggeri, divertenti da consumare con gli amici o nel fine settimana per ricaricarsi. Ma negli anni sono cambiate le birre disponibili in commercio e la varietà di pizze. Io lavoro sul mettere la birra dentro fuori il piatto perché si tratta di un alimento straordinario: eclettica, raffinata, in stile, creativa e divertente, carica di tradizione e parla molto di territorio. Questo il mio consiglio per avvicinarsi agli abbinamenti cibo e birra, rendersi conto del suo valore e del suo sapore».


Per me è stato un grande piacere ed orgoglio conoscere donne “nella” birra come Cristina, Valentina ed Eleni che non mancano mai di idee e nuovi progetti per arricchire un universo come quello birrario, già di per sé molto diverso e vario.
Chiedo proprio ad Eleni un consiglio da dare una donna per avere una “marcia in più” nel mondo della birra e della cucina, un settore quest’ultimo ancora molto affolato da chef uomini che calcano i palcoscenici della TV, come star.
«Sono nel mondo del food e beverage (birra) da un po’ di tempo, come progettista esterna prima e poi come collaboratrice con locali birrari e non, per portare la birra in cucina. Non si può negare che sia un mondo molto maschile, non solo per la quantità di uomini che lo compongono ma, inevitabilmente, anche per alcuni meccanismi maschili che si sono creati. Detto questo negli ultimissimi anni sono contenta di assistere ad un graduale e continuo cambiamento con un maggiore inserimento di donne nel settore, anche se di strada se ne deve fare ancora moltissima. Non so se il mio contributo come donna dia qualcosa in più, ma sono certa di dare qualcosa di diverso. Credo fortemente che visioni diverse aiutino a valorizzare, rafforzare il settore ed avere la capacità di rivolgersi a un pubblico sempre più ampio e variegato. Detto questo non è un caso che secondo le ultime ricerche siano sempre di più le donne ad avvicinarsi al mondo brassicolo artigianale e di conseguenza anche a una cucina che renda la birra protagonista in cottura e in abbinamento. Sono convinta che solo comunicando si possono raggiungerei migliori risultati e cambiare alcuni modi di fare, è importante mostrare la capacità di avere una visione».

Erika Goffi © ph. Matteo Marioli

LO SAPEVATE CHE  Il programma formativo Cicerone designa i professionisti dell’ospitalità con comprovata esperienza nella selezione, acquisizione e servizio della vasta gamma di birre, creato da Ray Daniels a Chicago, conta oggi circa 125.000 (una soltanto nel nostro Paese) persone al mondo che possono fregiarsi di questo titolo. In Lombardia la prima (e per ora unica) donna ad aver intrapreso il lungo ed impegnativo percorso per arrivare all’ottenimento dell’ambito titolo, è Erika Goffi, l’autrice di questo articolo, per ora in compagnia di solo altre 7 donne sull’intero territorio italiano!

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